Vi proponiamo il testo del servizio che il Tg5 serale del giorno 17 giugno 2004 ha dedicato a Gabriele Paolini...
Puntuale come l'afa, come le
zanzare o la tassa sui rifiuti è
tornato Gabriele Paolini,
l'incursore televisivo, il
Diabolik della diretta.
Importuno,
invadente, insolente come sempre.
E con un tocco inedito, un po’
frou frou, le meches sui capelli,
perennemente scivolosi.
Ha
oscurato il Tg1, piombando su
Piero Damosso, un serio
giornalista piemontese, in
collegamento da un liceo per gli
esami di maturità, rimarcando il
risultato elettorale non
favorevole a Berlusconi.
Era un
po’ di tempo che di Paolini si
erano perse le tracce. Forse ci
s'illudeva che fosse pago della
notorietà acquisita, lui che ha
già prodotto un libro e una
videocassetta, e vanta - ahimè -
una sfilza di allievi e imitatori.
E invece no, rieccolo, più
sgusciante e molesto che mai,
attaccato come Poulsen alle
caviglie di Totti, e come i
dinosauri alle spalle di Cecchi
Paone.
E nemmeno la prontezza del
Tg1 - che ha subito mandato in
onda le immagini di studenti
ignari - ha fermato le sue
invettive. Anzi, oscurato il
video, restava solo l'audio a
solleticare la fantasia, a evocare
presunte ambiguità del conduttore
Francesco Giorgino.
Una passione
contrastata e certo non
corrisposta, che nacque nella
serata elettorale del 2001. Era
questa la fase del Paolini muto,
indisponente gioconda del video,
icona del nulla televisivo, capace
di mostrare ben prima del Grande
Fratello che in tv si può
transitare senza saper fare nulla
e aver nulla di serio da dire.
Prima c'era stata un'altra fase,
quella di Gabriele profeta del
condom. I suoi blitz erano allora
più movimentati.
E dire che
eravamo stati testimoni, quasi
otto anni fa, della prima
performance del giovane Paolini,
che ancora non si vestiva di rosa,
non aveva scoperto i profilattici,
e si faceva inquadrare solo di
spalle, definendosi poeta
metropolitano.
Era l'epoca dello scandalo Sisde,
e il giovanotto chiese a Oscar
Luigi Scalfaro - allora Presidente
della Repubblica - perché non si
dimettesse. Un colpo basso, in cui
mostrava già allora un talento
trasformista, entrando senza
documenti in quell'ala di
Montecitorio, la sala del
cenacolo, dove spesso vengono
bloccati giornalisti e cameraman
con regolare accredito.
Fu poi un
dramma personale, la morte di un
amico, a trasformare il giovane
curioso in un impenitente
disturbatore. Talmente preso da
sé, da contemplarsi in un piccolo
monitor anche durante le
dirette...
Va detto che molte tv
hanno preso le contromisure, ma
Paolini ha i suoi informatori, e
quando si muove in autobus o
metropolitana dalla periferia
orientale di Roma, dove vive con i
genitori, ha già deciso dove
colpirà.
E ha un vantaggio: le sue
vittime hanno le mani legate dalla
legge, chi ha provato a farsi
giustizia - anche a parolacce - è
stato condannato.
Eppure il compianto Paolo Frajese -
un giornalista che ci ha lasciato
ben altri esempi di
professionalità - mai come quella
volta a Marsiglia, durante i
mondiali di calcio, seppe
interpretare il desiderio proibito
degli italiani. O almeno di tutti
gli inviati della tv. Rifilandogli
un sonoro calcio nel sedere.
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