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THE LADYKILLERS.

RECENSIONE DELL'ARTISTA GABRIELE PAOLINI.






The Ladykillers


Sulla carta, un'idea assolutamente vincente. Riprendere una classica commedia inglese del 1955 con Alec Guinness e Peter Sellers (in Italia, "La signora omicidi") e ottenere per il ruolo principale uno degli interpreti di maggiore bravura e carisma attualmente in circolazione, Tom Hanks. Ma come ormai troppo spesso capita a Hollywood, rovinare un'ottima base di partenza sembra la cosa più facile e naturale del mondo.
Siamo di fronte probabilmente al più brutto film di sempre dei fratelli Coen. Eppure, gli ingredienti che hanno fatto la loro fortuna sono ancora al loro posto. Personaggi buffi ed improbabili, improvvise esplosioni di violenza, morti incredibilmente stupide e un amore per la black comedy che sfocia a tratti nel cattivo gusto. Certo, dai tempi di Blood Simple gli epigoni sono cresciuti come funghi e ormai quello che un tempo era cinema di nicchia è diventato mainstream, spesso anche per famiglie. Un po' di stanchezza di fronte alla solita minestra, quindi? Forse. Ma più probabilmente quello che manca è l'alchimia che avrebbe dovuto far funzionare questo strano mix di situazioni e caratteri.

In primis, tra i due protagonisti principali non scaturisce quel feeling che dovrebbe fare scintille. Sebbene si abbia l'impressione che il doppiaggio non abbia reso un grande servizio a Tom Hanks, da quello che si vede sullo schermo emerge da parte del due volte premio Oscar un'interpretazione monotematica. L'attore infatti si rinchiude in una gabbia fatta di buone maniere e discorsi dotti, dalla quale purtroppo non emerge quasi mai per mostrare altri lati del suo carattere. Sembra quasi di rivedere il John Belushi de I vicini di casa, in quell'occasione costretto a recitare contro natura interpretando un tranquillo marito pantofolaio.
Non va molto meglio con lrma P. Hall, che nei panni della terribile padrona di casa dovrebbe scatenare l'ilarità del pubblico. Ma in questo caso le colpe, più che all'attrice, vanno ricercate nel lavoro in fase di sceneggiatura. Quasi mai alla protagonista vengono date scene dove poter mostrare il suo valore, anzi la vediamo spesso in situazioni noiosissime (cosa c'è di divertente in una signora che offre il té?).
E il problema maggiore del rapporto tra i due è la loro sintonia. Per quanto diversi di carattere, la coppia va molto d'accordo, particolare che farà felice qualche associazione che si dedica agli anziani, ma che non è molto efficace per dare vita ad una grande commedia (che, per forza di cose, scaturisce dai contrasti tra i personaggi).

In generale, tutto è molto prevedibile e poco coinvolgente. E quando, raramente, il film sorprende, lo fa in negativo, in particolare per la facilità con cui spreca occasioni che avrebbero potuto risultare molto divertenti. Da salvare, qualche scena con cani e gatti (peraltro, non proprio un complimento agli esseri umani coinvolti nella pellicola...), ma comunque nulla di straordinario.
Peraltro, l'impressione è che la pellicola abbia subito numerosi tagli, soprattutto nella prima parte. A farne le spese sono soprattutto la rapina (troppo brusca ed improvvisa) e una riunione con le amiche della protagonista che viene troncata di netto. Ma quello che dà più fastidio è l'assurdità della vicenda raccontata. Va benissimo il fatto di mostrare una banda di rapinatori degna de I soliti ignoti, ma come si può credere che sia così facile rapinare un casinò? Per non parlare dell'ultima mezz'ora, in cui alla banda ne succedono di tutti i colori...

Insomma, i Coen si trovano in una situazione professionale molto strana. Da una parte, gli attori più famosi del mondo (George Clooney, Catherine Zeta-Jones, Tom Hanks, ma anche Brad Pitt) vogliono lavorare con loro. Tuttavia questo non basta per renderli popolari alle masse, come dimostrano i risultati (artistici e commerciali) deludenti dei loro ultimi prodotti. In attesa di scegliere definitivamente tra Hollywood e il cinema indipendente (anche se questi due mondi sono sempre più contigui), ci sentiamo di dare un consiglio ai fratelli terribili. Evitino di incappare nella sindrome Woody Allen: non è obbligatorio fare un film all'anno, soprattutto quando non si è in vena.









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Pubblicato su: 2004-06-08 (1899 letture)

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