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HARRY POTTER E IL PRIGIONIERO DI AZKABAN.

RECENSIONE DELL'ARTISTA GABRIELE PAOLINI.






Harry Potter e il prigioniero di Azkaban


C’era molta attesa per questo terzo episodio della fortunata serie di Harry Potter. Infatti, dopo i primi due capitoli, che avevano trionfato al botteghino ma che tante perplessità avevano suscitato per il loro valore artistico, il cambiamento al timone di regia lasciava ben sperare.
Al posto dell’insostenibilmente retorico e banale Chris Columbus ecco arrivare Alfonso Cuarón. Una scelta coraggiosa e molto discussa perché, se il regista messicano aveva già lavorato con i bambini in film come La piccola principessa, la sua ultima opera era quel Y Tu Mama Tambien reso celebre da alcune scene di sesso esplicite.

Ovviamente, niente di tutto questo in Harry Potter e il prigioniero di Azkaban, ma fortunatamente il tono sembra essere cambiato. Si dirà che molto dipende dal testo di riferimento, dove già la Rowling si spingeva ad affrontare tematiche più adulte, che poi avrebbero portato addirittura alla morte di alcuni protagonisti nei successivi libri.
Ma in realtà è lo stesso Cuarón che, a differenza dello zuccheroso Columbus, fin da subito privilegia i momenti più dark, grazie a lunghe carrellate all’indietro e a morbidi movimenti di macchina. La famiglia dei Dursley assume ben altra consistenza, in un prologo che concilia molto bene l’aspetto comico e quello più inquietante, in un omaggio ai Monty Python de Il senso della vita. La prima visione del cane nero e soprattutto dei dissennatori (che deve sicuramente qualcosa ai Nazgul del Signore degli Anelli di Peter Jackson) è assolutamente terrorizzante per i bambini che affolleranno le sale.

Cuarón dirige con molta bravura gli attori, sia quelli giovani (Rupert Grint per fortuna evita in larga parte le sue insopportabili smorfie e anche Daniel Radcliffe, le cui capacità recitative rimangono discutibili, è migliore del solito) che quelli più stagionati (il grande Alan Rickman ha maggiori possibilità di mostrare il suo talento, mentre Michael Gambon sembra a proprio agio nei panni che erano stati del compianto Richard Harris). E anche le decine di altri allievi della scuola di Hogwarts sembrano assumere consistenza e personalità, così come avviene per i set utilizzati. Infatti, a differenza dei primi due capitoli, in questo caso si è riusciti a rendere più reale l’ambientazione del film, grazie all’utilizzo di luoghi differenti e molto suggestivi. Insomma, per rendere credibile l’incredibile, c’è bisogno di molta cura dei particolari e in questo caso il lavoro è decisamente riuscito.

Ed è degno di nota la capacità di far trasparire meglio le problematiche di Harry, anche grazie alla scelta di isolarlo spesso (magari dietro ad una vetrata) dai suoi compagni, e riuscendo quindi a farci provare delle emozioni per lui.
Insomma, per un’ora si può parlare di film molto riuscito, che ha il suo picco più alto nella cavalcata di Harry in sella all’ippogrifo, emblema dei pericoli e delle scoperte che ogni adolescente si trova a fare durante quel particolare momento della sua vita.

Purtroppo, non si può dire lo stesso della seconda parte della pellicola. Come già successo spesso in passato, lo sceneggiatore Steve Kloves inizia ad annaspare, riempiendo lo schermo di scene didascaliche e verbose (come la prima rivelazione dell’identità di Sirius Black, probabilmente il punto in cui il film inizia a vacillare). In altri tratti, è difficile stabilire se il colpevole sia Kloves o un montaggio discutibile che rende alcune cose incongruenti.
Pensiamo ad un momento in particolare, in cui è chiaro che Ron sta cercando di riappacificarsi con Hermione. Peccato che i loro dissidi (presenti nel libro e probabilmente eliminati al montaggio) non siano stati mostrati sullo schermo, rendendo la scena alquanto criptica. Per non parlare di Harry Potter che riconosce un luogo… in cui non è mai stato e che non è mai stato citato prima. O di una mappa, la cui provenienza è nota soltanto ai lettori del libro.
E che dire dei Dissennatori, di cui non viene spiegata molto bene la natura, rendendo non facile la comprensione del finale ai neofiti?

Mentre lascia ancora perplessi uno degli aspetti meno entusiasmanti del lavoro della Rowling (che ovviamente, vista la sua impoirtanza, nessuno si sente di mettere in discussione): il ruolo dei ragazzi e di Harry Potter in particolare. Insomma, questi tre giovani maghi risolvono le situazioni più ingarbugliate che si presentano nella loro scuola, spesso mostrando più talento e capacità dei loro professori. Ma per qualche strana ragione, non vengono mai presi sul serio dai grandi. Discutibile.
Così come molto discutibile è l’abuso della computer grafica (soprattutto quando è di basso livello come in questo caso) nel cinema americano. Perché vedere un’orrenda trasformazione di un licantropo in CGI, quando negli anni ottanta maestri come Rick Baker o Rob Bottin ottenevano risultati straordinari senza bisogno di computer?

Insomma, siamo sicuramente di fronte al miglior episodio della serie, ma da quello che si leggeva su Internet ci si aspettava molto di meglio. Ed è difficile essere ottimisti alla notizia che Mike Newell dirigerà il quarto episodio, Harry Potter e il calice di fuoco. Il timore è che, piuttosto che proseguire nei miglioramenti apportati da Cuarón, si scivoli nuovamente negli abissi precedentementi visti…









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Pubblicato su: 2004-06-01 (3639 letture)

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